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508 ATTO TERZO
Sogna, e travede la ragion che dorme.

Non vi vegga la sposa. Il vostro spirto
Ponete in calma. Non temete; io spero
Più tranquillo vedervi al nuovo giorno.
Parlerò con Matilde. I suoi pensieri
Saprò spiar. Riscalderò il suo cuore
Freddo ancora per tema; e non avrete
Ragion di dubitar. Ma voglio, amico,
Che scacciate dal sen l’ombre gelose.
Ormondo. Le scaccierò, quando Matilde in viso
Più tranquilla vedrò. M’ami la sposa,
Nè temerò di lei. Ma fin che dura
Dispettosa a fuggir gli amplessi, e come
Prevenuto il suo cuor non vuol ch’io creda1?
Leonzio. La vedrete cangiata.
Ormondo.   In voi confido.
(parte per la porta comune


SCENA IV.




Leonzio, poi Matilde dal suo appartamento.



Leonzio. Giovami serenar l’alma turbata
Dello sposo infelice. Ah che pur troppo
Veri son suoi sospetti. Enrico forse,
Cui non è noto che Matilde è sposa,
Tentò furtivo rivederla2 affine
Di levarla d’inganno. Ah figlia incauta!
Esser mi vuoi cagion d’eterno duolo3.
Matilde. Deh, se vi cal della mia pace, o padre,
Ditemi, che mai nacque? Intesi un fiero
Rumor di spade, un altercar di voci,
Che m’empiè di terror.

  1. Bett.: a fuggir gli amplessi miei, — Prevenuto il suo cuor forz è ch’io creda.
  2. Bett.: Venne furtivo a rinvenirla.
  3. Bett.: Ah questa figlia — Esser vuol la cagion del comun duolo.