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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/540

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536 ATTO QUINTO
Costanza. Ohimè! tremante il leggo.

“Alfine han trionfato i miei nemici.
“Enrico è in trono, ed io ramingo e abietto.
“Previdi di Ruggiero il giorno estremo,
“Previdi il mio destin. Le mie vendette
“Già meditai, ma più non giunsi a tempo.
“Enrico è Re; voi lo guidaste al trono;
“Ed ecco la mercè ch’indi ne aveste.
“Pubblici sono i torti vostri, e sento
“Pietà di voi, come di me. Se avete
“Coraggio di seguir un mio disegno,
“Far le nostre vendette ambi potremo.
“Siate mia sposa. Sarà mio pensiero
“Far che la legge di Ruggier s’adempia.
“Sono le genti mie sotto Palermo.
“Datemi un vostro cenno, e mi vedrete
“L’ingrato usurpator balzar dal trono.
Don Pietro cugin vostro e Vostro servo. (resta sospesa
Riccardo. Che pensate, confusa?
Costanza.   Ah non vorrei
Sparso per me de’ cittadini il sangue.
Riccardo. Non temete di ciò; sol che la voce
Di don Pietro si sparga, ei non ha d’uopo
Per esser Re di sfoderar la spada.
Malcontenti già son del Re novello
I grandi e il volgo. Il carcere d’Ormondo
Cauti ci rende, e il non veder concluse
Le vostre nozze, fa temer di peggio.
Costanza. Ite dunque a colui che il foglio diede;
Dategli la mia fè. S’è amico vostro,
Egli vi crederà. Dica a don Pietro,
Che disponga di me; che la mia destra
Per lui riserbo e la ragion del trono.
Riccardo. Lieto men vado a così bella impresa.
(parte per la porta comune