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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/541

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ENRICO 537

SCENA II.

Costanza, poi Leonzio e Ormondo, ambi dalla porta comune.

Costanza. Vedrai, perfido Enrico, il degno frutto

Della tua infedeltà. Vedrai che vile
Una figlia di Re l’onte non soffre.
Chi s’abusa d’amor, provi lo sdegno.
Leonzio. Deh principessa, nelle vostre stanze
Permettete che Ormondo inoltri il passo.
Costanza. Per qual ragion?
Leonzio.   Ve la dirò; ma tosto
Concedete ch’ei vada.
Costanza.   Io non lo vieto.
Leonzio. Celatevi colà. (ad Ormondo
Ormondo.   Fremo di sdegno.
(entra nell’appartamento di Costanza

SCENA III.

Costanza e Leonzio.

Leonzio. La libertà d’Ormondo a’ prieghi miei

Concesse il Re, ma i’ non dovea sì tosto
Trarlo di sua prigion. Dimane solo
Era il giorno prescritto. Amor m’indusse
L’ordine a prevenir. Luogo ad Enrico1
Accessibile meno, io più di questo
Trovar non so. Vostra pietade adunque
Concorra all’opra, e fin che dura il giorno
Custodite celato un infelice.
Costanza. Questo superbo Re, per cui cotanto
Sudor spargeste, al precettar fa scorno.
Mirate come i documenti apprese

  1. Bett.: Luogo sicuro, — Vicino alla sua sposa, e ad Enrico ecc.