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goldoniane, non c’è naturalmente nel Gil Blas. Diversa è poi la fine” (La Donna di garbo di C. G., Noto, 1899, p. 38 n. 1).

Più diffusamente Antonio Belloni, senza conoscere l’opera del Peter, pose a confronto la comedia del Rojas con la “pessima riduzione” del Cicognini e l’Enrico del Goldoni con la novella di Le Sage. Crede il Belloni che l’autore veneziano sia stato “magari inconsciamente” indotto a “sceneggiare la novella francese” dal ricordo dell’opera scenica del Cicognini: sebbene fra l’Enrico e il Maritarsi per vendetta non esista somiglianza diretta: “se qualche corrispondenza v’ha, è, più che altrove, in sul principio”. “Per ciò che riguarda la condotta e la sceneggiatura” afferma il Belloni “convien riconoscere che l’Enrico del Goldoni non manca di pregi: l’azione vi si svolge rapida e senza troppe inverisimiglianze e il dialogo è, in genere, vivo e naturale. Non altrettanto bene si può dire della versificazione, che troppo spesso è fiacca e inelegante”. Ma nemmeno Thomson e Saurin si elevarono, dopo di lui, svolgendo un soggetto consimile, “molto al di sopra della mediocrità... Il G., che pur cede ad essi nell’eleganza e nel vigor della forma, li supera, sotto un certo riguardo, per il maggior profitto che seppe trarre da certe situazioni” (Intorno a una tragedia del Goldoni, in Raccolta di Studii critici dedicata ad Al. D’Ancona, Firenze, Barbera, 1901, PP. 77-84).

Più di recente R. Guastalla, senza sapere nè del Peter, nè del Bonfanti, nè del Belloni, ci riparlò di Renato Le Sage e Carlo Goldoni, cioè della nota novella, che gli parve “nell’insieme e nei particolari” di “assai scarso interesse”, e dell’infelice Enrico (v. Marzocco, 27 Aprile 1924). Ultimo Mario Penna, dimenticandosi di tutti quelli che lo avevano preceduto, sottopose di nuovo la povera tragedia goldoniana a minuzioso confronto con la novella di Le Sage (Il noviziato di C. Goldoni, Torino, 1925, pp. 40-44). La signora O. Marchini-Capasso credette poi di “ravvisare” nell’Enrico “un impasto vario di elementi tragici e comici, con rilievo sempre più notevole di questi ultimi” e trovò affinità fra i personaggi della presente tragedia e quelli sia del futuro teatro comico goldoniano, sia dell’antica commedia dell’arte. Così il re Enrico somiglia all’“Antiquario” che dimentica il governo della sua casa per correr dietro “alle sue antichità”; Costanza “è la femmina delle seduzioni maliarde della vecchia Commedia”; Leonzio “è un remoto precursore dei Brighella onesti, maniaci”; Ormondo “è il solito rivale, spadaccino consumato, che fa prodigi da Capitan Spaventa”; e l’intreccio stesso, “già apparso nella Griselda, è vicinissimo a quello di certe Commedie d’Arte ecc. ecc. (Gold. e la Comm. dell’arte, 2.a ed., Napoli, 1912, pp. 183 sgg.). Ma non è lecito al critico sereno di sbizzarrirsi fino a tal punto: chè se i personaggi di Enrico e di Ormondo possono apparire ridicoli a un moderno lettore, ciò avviene contro ogni intenzione dell’autore stesso, per il troppo debole soffio dell’arte. Noi ridiamo, in tal caso, del poeta, ma non in grazia del suo spirito comico.

Dell’accoglienza poco calorosa del pubblico di S. Samuele non parla il Goldoni nelle memorie italiane: anzi, accennando in certo luogo al Simonetti che “si presentò al pubblico la prima volta interpretando il personaggio di Enrico, afferma che il nuovo attore “piacque universalmente” (vol. I presente