Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu/121

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procurano di scusarsi a spese della loro lingua, e ne chieggon perdono per lei, come s’ella non fosse ricca e copiosa abbastanza per esprimere tutta la forza e le bellezze dell’Originale.

Voi non avete d’uopo di una simile scusa, poiché conoscete assai bene la ricchezza della lingua nostra Italiana, e nello scriverla perfettamente vi meritaste gli elogi del Novellier Fiorentino 1, il quale prodigo non suol essere delle sue lodi e molto meno in questo; ma siccome, a fronte del Dialetto nostro, scarso è quello dei Francesi, e i modi loro e le loro frasi hanno cotal suono, che alle orecchie nostre non tornerebbe in acconcio, voi saggiamente, ponendo in fronte ai quattro Tomi della Traduzione vostra l’insegnamento d’Orazio: ̆

Nec verbum verbo curabis reddere fidus
Interpres etc.

rendendovi padrona del sentimento dell’Autore, dell’intenzione sua, del carattere e della Scena, l’addattaste sì bene all’intelligenza ed allo stile degl’italiani, che senza la prevenzione, passar potrebbono per opere originali.

Io per altro, se mi lasciassi sedurre dall’amor proprio, dovrei farmi rincrescere una simile traduzione. Sono parecchi anni, che in questo genere di Teatrali Componimenti fatico per l’onor mio, e per quello della mia Nazione, alla quale hanno giustamente per più d’un secolo insultato gli Oltramontani, e dell’Opera mia imperfetta larga mercede ho quinci e quindi riscossa, se non di grosse monete, d’aggradimento almeno, e di festevoli gratulazioni. La Fortuna Teatrale, gelosa forse de’ suoi Francesi, ha eccitato la mano di V. E. a mantenere il decoro loro in Italia; onde sia il Destouches, da una nostra Dama tradotto, argine al corso della mia felice carriera; ma rallegromi fra me stesso che il valoroso Francese non comparirebbe con sì bel fasto in Italia, s’egli non fosse da un’Italiana penna tradotto; e purché trionfi anche in ciò il valore della nostra Nazione, son pronto a cedere tutto quel po’ di gloria, che mi ho acquistato, ad una Dama si benemerita.

  1. Allude al famoso abate Giovanni Lami, che dal 1740 al 1769 pubblicò a Firenze settimanalmente 1e Novelle Letterarie.