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Nostro, aveva affidato al Teatro Francese una sua Péruvienne, commedia di cinque atti in versi, che cadde alla prima rappresentazione. M Le Lettres Péruviennes annota il Dictionnaire portatif des théâtres di M. de Léris (Paris, 1754) “ont donné l’idée de cette pièce, qui n’a pas été imprimée, et celle d’un Opéra Comique en un Acte sous le même titre, qui fut joué pour la première fois le 23 Mars 1754, sans succès”.

Non fu molto più felice il Goldoni a Venezia nell’autunno di quei medesimo anno (1754); scriveva in fatti il 5 aprile 1755 al conte Arconati-Visconti di Milano di essere rimasto lui stesso “malcontento” (Spinelli, Fogli sparsi del Goldoni, Milano, 1885, p. 34); e nella prefazione della commedia, stampata nell’edizione Pitteri (il t. III porta la data del 1757, ma uscì al pubblico in principio del ’58) si affanna a voler spiegare le ragioni della “mediocre riuscita” ripromettendosi miglior fortuna presso i lettori. Nei Mémoires (p. 2°, ch. XXX) si sbriga con poche e vaghe parole: “J’en fis une Pièce romanesque; j’eus le bonheur de réussir”. - Tali Memorie assegnerebbero la Peruviana all’anno 1755, ma bisogna creder giusta la data che si legge nell’edizione Pitteri, confermataci dallo scritto dello Sciugliaga, come ora vedremo. Il nostro poeta potè consolarsi in quella stagione col buon incontro del Terenzio (principio aut.) e del Tasso (principio carn.). Gli animi dei partigiani, nella famosa lotta delle due fazioni teatrali, erano allora più accesi che mai: la gioia insolente dei chiaristi perseguitò la Peruviana. Per fortuna il Goldoni aveva trovato un anonimo difensore che da tempo faceva fioccare contro l’abate Chiari e i suoi fautori certi libelli coraggiosi, e sensati le più volte, che un gran bene recavano alla causa del commediografo veneziano (Mém.es cit., partie 2e, ch. XXXII). Si chiamava Stefano Sciùgliaga (in Garmogliesi) ed era nativo di Ragusa (v. Nuovo dizion. istorico di Bastano, t. XVIII, 17%; ab. S. Gliubich, Diz.io biogr.co degli uomini illustri della Dalmazia, 1856; Spinelli, I cit., pp. 65-6/; e specialmente G. Ortolani, Settecento, in corso di stampa: Intorno al teatro dell’ab. Chiari). Anche questa volta fu pronto costui a stampare uno scrittarello intitolato L’Anonimo ad un suo Amico (v. Censure miscellanee dello stesso, dedicate alla duchessa Serbelloni - Ottoboni, gennaio 1755, pp. 80-89) in cui ribatteva certa “diceria d’un povero “Sofista che aveva predicato la sera avanti contro la Peruviana e contro l’anonimo Raguseo. Ascoltiamolo dunque un poco.

“Io vi confesso la verità, che l’Autore della Peruviana viene da me stimato, benché non conosciuto, ma in quella Commedia lo condanno per due ragioni. Primamente non doveva pescar nel Romanzo, e poi se ha creduto bene d’attaccarsi al Romanzo, doveva trattarlo come tale, e non istudiare di ben condurlo: una cosa fantastica doveva farla senza regola, o facendola con regola, non doveva farla fantastica. - Vi confesso tuttavia, ad onta di quel che si possa dire del mio palato, che la Peruviana mi pare tanto ben ordita, e tanto ben tessuta, che può e dee aver luogo fra le migliori cose fatte dal suo Autore. Non v’è in essa una incoerenza, non v’è un carattere mal sostenuto, non v’è cosa fuori di proposito, e stampata che sia, sono certissimo che dagl’Intendenti sarà applaudita. Che poi sia andata a terra, io non vi darò alcuna ragione; vi dirò bensì, che per sostenerla in faccia degl’idioti, vi mancava tutto quello nel che consiste lo spirito della