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344 ATTO PRIMO
Già che il destin spietato vuole ch’io viva, e peni.

In così dir, sedendo, quasi fuor di me stessa,
Sentomi a poco a poco da dolce sonno oppressa;
Ma oimè, che i sogni miei furo funesti a segno,
Che trasseli le furie fuor del Tartareo regno!
Sangue, stragi, ruine sol figurai dormendo...
Ah, signor, non temere, d’ira or più non mi accendo.
Faccia di me la sorte quel che destina il Cielo;
Ti servirò discreta, ti obbedirò con zelo.
Solo in balìa mi lascia questo mio cuore in petto.
Che serba a quell’ingrato l’amore a mio dispetto.
Ira ho contro me stessa, vorrei potere odiarlo;
Ma, a mio rossore il dico, son costretta ad amarlo.
Demetrio. Donna, a pietà mi muove il tuo dolore estremo.
Per te, de’ casi tuoi, del tuo destino io tremo.
Seguimi in Julfa. Andiamo. Comodo avrai ricetto
Per ristorar te stessa sotto d’amico tetto.
Vo’ che per or sospendi meco di serva il nome;
Celisi altrui per ora donde venisti, e come.
Cela il tuo sesso ancora coperto da tai spoglie.
Agli amici, ai congiunti, alla mia stessa moglie.
Rinvenirò Zaguro nella regal cittade,
Gli narrerò i tuoi casi per moverlo a pietade.
Tornino omai serene le luci tue leggiadre:
Un comprator cercasti; hai ritrovato un padre.
Tu ti donasti a me senza voler mercede;
Senza mercè ti giuro l’amor mio, la mia fede.
(s’incammina
Ircana. Numi, trovato ho un padre d’amor, ma non mi basta,
Se l’amor d’un ingrato la pace mi contrasta.
Toglietemi dal seno il contumace affetto,
O strappatemi, o Numi, questo mio cuor dal petto.
parte


Fine dell’Alto Primo.