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IRCANA IN JULFA 359
Dopo i teneri amplessi, ch’ebbe da te la sposa,

Ircana agli occhi tuoi esser dovrebbe odiosa.
E se volubil tanto per debolezza or sei.
Sappi, che onor ti rende 1 odioso agli occhi miei.
Tamas. Odiami quanto sai, ma non mi odiar per questo.
Odi della mia sposa il piacere funesto.
Quando partisti, Ircana, conobbi il tuo dolore.
Ahimè, che il tuo sospiro sentii piombarmi al cuore.
L’ira, che concepita avea pe ’l tuo disegno,
Si dileguò ad un tratto, cesse ad amor lo sdegno.
Alla mensa confuso sedei senza parola;
Tutti in me stavan fisi, io fiso era in te sola.
Si congedar gli amici. Partissi ogni congiunto.
Giunse di restar soli colla mia sposa il punto.
Ma che! da lei diviso in quel momento istesso,
Errai di te cercando, dal mio dolore oppresso.
Sorta appena l’aurora, cercai tosto l’uscita
Dalla cittade, in traccia di te, mia cara vita.
E disperando alfine di rintracciarti altronde,
Volea seguirti in morte, volea perir fra l’onde.
Giunse la man pietosa, che ha il mio morir vietato.
Di rivederti, o cara, m’ha pur concesso il fato.
Porto la macchia in fronte d’esser d’altrui consorte;
Ma questo core è tuo, sarà tuo sino a morte.
Bastati?
Ircana.   Non lo sai, che ciò non mi consola?
Che nel cor di chi mi ama, voglio regnar io sola?
Tamas. Sola regni nel mio.
Ircana.   No, non lo dir, noi credo,
Finché in nodo congiunto alla rival ti vedo.
Tamas. Vuoi ch’io la sveni?
Ircana.   No, non sono empia a tal segno.
Tamas. Che posso far?
Ircana.   D’Osmano ti spaventa lo sdegno?

  1. Nella rist. torinese e nell’ed. Zitta: che ognor ti rendi.