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LA BELLA SELVAGGIA 515
Quel più fra noi si stima, che più fecondo ha il gregge.

Un arco, una faretra ci dà fra queste selve
Il nobile diletto di abbattere le belve.
L’ispida pelle irsuta che agli animai si toglie,
Suole nel crudo verno formar le nostre spoglie.
E delle membra loro insanguinate ancora
Dal cacciator contento la carne si divora.
L’erbe, i frutti, le piante son comuni fra noi.
La terra in ogni tempo feconda i semi suoi.
E a spegner della sete i consueti ardori,
Scaturiscon dal monte i cristallini umori.
D. Alonso. Delle passioni umane fra voi chi regge il freno?
Papadir. Ciascun regge se stesso colla ragion nel seno.
Questo lume supremo ci regola, e ci addita
Quel ch’è a noi necessario per conservarci in vita.
Noi veneriamo il Sole, perché di luce abbonda,
Perchè le terre nostre coi raggi suoi feconda.
Ma abbiam nell’alme nostre dalla ragione impresso,
Che il sol da un maggior nume sia regolato anch’esso.
D. Alonso. Sì, amico, il sol lucente, la terra, i frutti, e l’onde.
Le stelle, il firmamento hanno il principio altronde.
In voi regnò finora sol di natura il lume,
Or di natura istessa conoscerete il nume.
Opra di lui sublime è il sol che noi veggiamo.
Ma l’opera più bella delle sue man noi siamo.
E di ragione il raggio che in tutti noi si trova,
Questo nume immortale scopre, dimostra e prova.
Vanne alle tende nostre, ritroverai, lo spero,
Tal che virtù possiede di ammaestrar nel vero,
E il nostro a queste selve arrivo inaspettato
Sarà di provvidenza un lavor fortunato.
Papadir. Sconosciuto principio io mi sentiva interno,
Che ravvisar facevami l’alto potere eterno.
Vivere mi pareva nell’ignoranza oppresso,
Del mio destin mal pago, scontento di me stesso.