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546 ATTO TERZO
D. Ximene. Chi della vostra vita è l’arbitro e il signore.

Delmira. Arbitro di mia vita solo è il nume sovrano,
Puote armar per punirmi di un barbaro la mano.
Ma questo nume istesso, per cui si nasce e muore,
Difende dagl’insulti di un’innocente il cuore.
Fra le vostre rapine nella superba istoria
No vantar non potrete sì barbara vittoria.
Nel valor dalle donne coll’uom non si contrasta;
Ma per l’onor difendere abbiam forza che basta.
E l’userò in tal modo coll’aggressore ardito,
Che dalla mia costanza rintanerà avvilito.
D. Ximene. Povero quel valore che tu mi vanti in faccia.
Veggiam l’eccelsa prova dell’orrida minaccia.
Vieni come. (l'afferra per un braccio
Delmira.   Lasciatemi. (tenta liberarsi
D. Ximene.   Guardie, il cammin scortate.
(come sopra
Delmira. Viva, no, non mi avrete.

SCENA VI.

Don Alonso e Donn’Alba con seguito, e detti.

D. Alonso.   Ah giusto Ciel! che fate!

D. Ximene. Qual sorpresa!
Donn’Alba.   Infedele! questo è d’onor l’impegno?
Vile amator di schiave, sei di mia stima indegno.
Non ti pensar ch’io venga per te d’amore accesa:
Curiosità mi sprona della novella impresa.
A te diedi mia fede in grazia del germano:
Non merta di donn’Alba un perfido la mano.
Il sangue mio si sdegna, meco si sdegna onore
D’aver per un momento amato un traditore.
D. Ximene. Odo l’usato stile del vostro labbro altero.
Non curo il vostro cuore, sia docile o severo.