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548 ATTO TERZO
D. Ximene. E in pubblico e in privato saprò far mio dovere.

Vedrem fra le milizie, vedrem chi ha più potere.
Deposto il comun grado, tornati un dì al Brasile,
Ricordar vi potrete ch’io vi ho chiamato un vile. parte

SCENA VII.

Delmira, Don Alonso, Donn’Alba.

Donn’Alba. Comandate l’arresto. Puniscasi l’ardito.

D. Alonso. No, non è tempo ancora di renderlo punito.
Per or vaglia il disprezzo a umiliar quel core:
La colpa sfortunata risvegli il suo rossore.
Non bramo che si perda un uom ne’ suoi trasporti;
Ma che conosca il fallo, e risarcisca i torti.
Delmira. Anima senza pari, cuor generoso e umano!
Signora, io mi consolo con voi di un tal germano.
Siete di un sangue istesso; conosco i pregi suoi.
Pari virtù son certa ricoverassi in voi.
So che compatirete un’infelice oppressa.
Che il grado, che il dovere conosce di se stessa.
Mia protettrice invoco voi generosa e saggia.
Donn’Alba. Chi è costei?
D. Alonso.   È Delmira, l’amabile selvaggia.
Donn’Alba. Amabile vi sembra donna fra i boschi nata?
Da un cavalier non merta vil donna essere amata.
D. Alonso. Voi non sapete ancora qual sia quel cor gentile.
Donn’Alba. Non val la gentilezza a renderla men vile.
Quel che si apprezza, è il sangue; nata in rustica culla,
La beltà, l’avvenenza si reputa per nulla.
Di due vaghe pupille il fulgido splendore
Nobilitar non puote di una selvaggia il cuore.
E di voi giustamente, german, mi maraviglio,
Che amabile vi sembri di una vil schiava il ciglio.
D. Alonso. Non sprezzate una figlia che ha sentimenti onesti.
Delmira. Parlar mi si concede? (con umiltà