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ENEA NEL LAZIO 319
Noti sono i suoi casi, e assai mi dolse

Che a forza il padre mio cedendo al fato,
Abbia condotta l’infelice a morte.
Selene. Grata ti son di tua pietà. Raminga
Vedi la suora di reina estinta.
Lavinia. (Oh me felice, se d’Ascanio in petto
La pietade in amor per lei cangiasse!) (da sè
Ascanio. E qual riparo il genitor destina
D’un’illustre donzella alle sventure?
Lavinia. Quanto allo stato suo prometter lice,
Offre il pietoso Enea. Comprar terreni
Non ricusa per lei. Ma sola, inerme,
Dove puote sperar sicuro asilo?
Io le offersi alla reggia albergo amico,
Ma non soffre chi nacque in regia cuna
Altrui dover la sussistenza amara.
D’uopo avria d’uno sposo, e tal che un giorno
La facesse reina. Ah! se d’Ascanio
La pietade e l’amor parlasse al cuore,
Egli solo potria rendere al padre
La fama illesa e consolar l’afflitta.
Non rispondi? non parli?
Ascanio.   Io non dispongo
Senza il cenno paterno.
Lavinia.   E se un tal cenno
Fosse conforme al mio consiglio, avresti
Repugnanza, o piacer?
Ascanio.   Chi mai potrebbe
Sprezzar beltade a regio sangue unita?
Lavinia. Oh felice Selene! Odi? Ti apprezza
D’Enea le prole: il successore eletto
All’impero Latino; il giovin prode
Vincitor de’ nemici, in cui si aggiunge
Di beltà il pregio e di dolcezza il vanto.
Dimmi, avversa saresti al dolce nodo?