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320 ATTO QUARTO
Selene. Avversa non sarei.

Lavinia.   Secondi il Cielo
Il bel desìo che ha le vostr’alme unite.
Scorgo negli occhi vostri un certo raggio
Di reciproco ardor; vi leggo in fronte
Un non so che d’unanime e concorde,
Che l’un per l’altro vi dichiara il fato
Discesi in terra a far felice il mondo.
Deh! seguite ad amarvi. Io stessa, io stessa
Ad Enea svelerò l’illustre arcano,
E lui farò de’ desir vostri amico.
Tu seconda gl’impulsi, e arrendi il core (a Selene
A magnetica forza, i Dei ringrazia,
E deponi lo sdegno, e in me confida.
Selene. Sì, ti amo, e t’amerò più che non credi.
Più chiaro or veggo e riconosco appieno
Il tuo cor, la tua mente, i tui pensieri.
Solo il figlio d’Enea può farti amica
Colei che abborri e che d’amar fingesti.
Scuso la gelosia che il cor ti preme.
Compiacerti desìo. Trarti dal seno
I sospetti saprò, se Ascanio è il sposo. (parte
Lavinia. (Vogliano i Dei che il padre suo consenta). (da sè
Ad età cui convien d’amore il foco,
Alfin giungesti; e saggio è chi ad Imene
I primi del suo cor moti consacra.
Selene è umile, generosa, e in volto
Di beltà le scintilla acceso raggio.
Oh te beato se al possesso arrivi
Di tanto bene!
Ascanio.   Ah! sì, lo veggo, il sento.
Impazïente il cor s’agita e balza.
Con invid’occhio il genitor vedea
A’ novelli Imenei passar giulivo.
Parlagli tu per me. Le vinte spoglie