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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1930, XXIX.djvu/323

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IL POVERO SUPERBO 321
Pancrazio.   Cara Lisetta,

Non pianger, per pietà. Di che paventi?
Ch’io ti lasci giammai? Oh non temerlo.
Meco, meco verrai,
Meco, Lisetta mia, tu resterai.
Lisetta. Ma in questo che direbbe
La gente avvezza a mormorar per nulla?
Un’onesta fanciulla
Sola in casa d’un uom, lontana ai suoi,
Con un padron non tanto vecchio ancora...
Basta...
Pancrazio.   Tu dici bene;
Se fossi vecchio assai,
Nulla da sospettar non vi sarebbe.
Ma pur v’è la mia figlia.
Lisetta.   È ver, ma presto
Maritarla dovrete.
Pancrazio.   Io dovrò farlo.
Lisetta. E allora resterem noi soli in casa?
Oh poveretta me! cosa vorrete
Che di noi dica il mondo?
Pancrazio. Dunque restar potresti
Così senza di me?
Lisetta.   Restar potrei?
Eh no, signor padrone!
Se mi lasciate qua, certo morrei;
Allevata da voi,
Vi stimo come padre.
Pancrazio.   Ed io da figlia.
E pur, se non volete
Meco venire, vi vorrà pazienza;
Veggo ben, che di me poco vi preme,
E che qualche genietto
Vi tiene il cuor tra’ lacci suoi ristretto.