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privati, ma non men deliciosi, e luminarie e fuochi artifitiali e altri passatempi.„

Ohimè, la luna di miele col suo alone roseo d’illusioni, doveva durare ben poco e la bella sposa — pur con tutta la ingenuità dei suoi diciotto anni — non doveva tardar molto ad accorgersi che nello stesso Palazzo, accanto a lei, seduta alla stessa mensa, al corso, a teatro viveva un’altra sposa del Duca, più antica di lei, terribile di tutta la sua bellezza matura ed esperta, forte da anni e anni d’un’influenza incondizionata, armata d’un’alterigia temeraria, armata, cosa più atroce di tutte, di una figliolanza clandestina, ma riconosciuta dal Duca, amata, collocata in vari collegi di Francia e di Lombardia: la Marchesa di Cavour. È certo, la Duchessa baciava tremando il capo d’oro dell’unico figliolo, tremando per sè e tremando per lui. Quale spaventosa tragedia, silenziosa come la fiumana che serpeggia sotterra, doveva tumultuare nel piccolo cuore non ancora ventenne!


— La Duchessa? non s’accorge di nulla, non vede nulla, non sente!

Vedeva, sentiva, aspettava che il calice fosse colmo....

E il calice fu colmo.