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L'altare del passato 11


Ma non era la “bien-aimée„, non era una donna il segreto della stanza impenetrabile.

Quando m’era dato di giungere a quella porta — una vasta porta secentesca, ad intarsio di noce e a borchie d’ottone — io palpavo il legno ed il metallo, ascoltavo trepidante i rumori dell’al di là.

Nulla, mai nulla.

Non un mistero di vita, non un mistero di morte e di passato era custodito là dentro; non donne, ma puri spiriti erano prigionieri della porta pesante.

La mia fantasia si smarriva, la mia curiosità si esasperava.

E tormentavo il mio amico, avvezzo a quel mistero, rassegnato a quel divieto, lo costringevo a lasciare i giochi, a passare ore e ore nelle stanze del nonno, per poter contemplare in fondo, nera e borchiata, la grande porta misteriosa.

Si bussava allo studio del nonno ed egli appariva sorridente.

Ma talvolta non rispondeva. Allora si spingeva cauti la porta: lo studio era buio, il vecchio non c’era. S’indietreggiava, si fuggiva spauriti.