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12 l'altare del passato


Ma una sera io presi Vittorino per mano, lo trascinai in quella tenebra fosca.

— Il doit être dans la chambre de la bête farouche! Allons nous la voir, allons nous l’épier!

— Non! Non! J’ai peur!

— Viens donc, lâche! Viens!

E lo trascinai attraverso le stanze buie; avanzammo a tentoni, nello studio, nella sala orientale, fino alla camera da letto.

Il conte era nella sala misteriosa!

Una striscia di luce filtrava sotto la porta chiusa, si propagava sul lucido pavimento a mosaico....

Ginocchioni, senza respiro, con l’occhio tra la porta e la soglia, si cercava invano di scorgere qualche cosa; giungeva soltanto come un fumo odoroso, un aroma d’incenso.

Il sangue mi pulsava alle tempia con la violenza d’un maglio. Nel silenzio udivo il battito del mio piccolo cuore accordarsi col rodìo d’un tarlo, col tic-tac del grande orologio a pendolo. Poi una voce, la voce del conte, indistinta, alterata, come quando diceva dei versi, ma più incalzante, affannosa, ora di supplica, ora di richiesta, quasi rivolta a più persone, quasi in attesa vana di una risposta.... E poi lunghi intervalli di silenzio sepolcrale.