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rabili nelle ricostruzioni, quando si tratta di beffare un poeta. Prudentia docet.

E per paura d’una beffa e in attesa di notizie prudenti, differii di giorno in giorno, di settimana in settimana. Il destino mi portò all’estero per molto tempo. E dimenticai Garibaldina senza averla conosciuta.

La ricordai quasi due anni dopo, quando mi ritrovai alla Veneria, in partita di caccia. Io non sono cacciatore. Mi sarei annoiato mortalmente nel parco vastissimo, tra quelli amici che la passione convertiva in forsennati silenziosi e sanguinari, mi sarei annoiato mortalmente, se non m’avesse consolato la sottile poesia del luogo. A vent’anni, per snob, disprezzavo Torino e i suoi dintorni; oggi ho imparato a conoscerli e ad amarli. Come mi piace la Veneria! Solo, abbandonato nel vasto parco dai miei amici dispersi, ascoltavo i colpi echeggianti dei fucili che potevano ben essere le archibugiate d’una partita di caccia in sul finire del ’600 o sul principio del ’700, quando la Corte si riposava in ozi arcadici o venatorii, dopo i giorni terribili dell’assedio.

Il Castello, la mole rossigna di mattoni grezzi, traspariva tra il verde; e come lo stile del Juvara s’armonizzava con la ramaglia degli alberi testimòni dei secoli andati! Vagai tra i boschi,