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46 | l'altare del passato |
— I cattivi gliela vogliono prendere, — proseguiva la fida Ortensia, sdegnata, — ma anche a Vienna ci sono dei bravi avvocati.
— Taci, vecchia mia, — sospirava la Baronessa.
Ed io la guardavo e il mistero s’addensava più folto dietro quel profilo stanco. Tutto era misterioso, quasi pauroso per me, anche le lettere che giungevano dalla Francia, dalla Russia, dall’Austria: quest’ultime a caratteri alti ed aguzzi, con un francobollo effigiante un vecchio signore dalle fedine.
— È il signore della porticina?
— Proprio lui!
Serva e padrona si guardavano con un sorriso d’intesa. Io allora volevo rivedere per la centesima volta la porticina. La quale era un trittico di cuoio a sbalze, di stile gotico, che si chiudeva a chiave. Nel mezzo, in miniatura, stava un signore dalle fedine biondissime e dagli occhi azzurri — il signore dei francobolli — e a sinistra una dedica, a destra una rosa stinta, sotto il cristallo.
— Adesso basta, — sussurrava la Baronessa con tono di mistero pauroso; e mi prendeva il cuoio dalle mani, lo chiudeva accuratamente, lo riponeva con un sospiro profondo.