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112 la danza d’una “devadasis„

tempesta. Il gioco mimico è così espressivo che io temo per qualche secondo che la donna sia furente contro di noi. Ma non è furore, è dolore, è ansia mortale che s’accresce viepiù, contrae la bella bocca, dilata le narici vibranti, increspa i vasti sopraccigli.... È il volto di un’agonizzante, contratto da una visione spaventosa.

Forse — ho letto sul programma l’intreccio dei vari brani cantati e mimati — la Devadasis ci rivela lo spasimo della Maharajna agonizzante che è portata nella sua lettiga d’oro verso il Gange sacro e vede la morte avanzarsi e teme di non giungere in tempo alle acque purificatrici.

La Devadasis non danza, s’avanza e retrocede con un ritmo prestabilito, seguendo la musica e le strofe. Alcuni musici infatti — io non li avevo nè visti nè uditi, tanto mi aveva preso il gioco di lei — stanno seduti sulle stuoie e suonano stromenti singolari; enormi mandole dal lungo manico ricurvo, flauti affusolati, strani tamburi oblunghi che agitano febbrilmente scuotendone una pietra interna. Ma l’insieme di quell’orchestra formidabile è lie-