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258 il vivajo del buon dio

ruinati. E dai coloni sono più detestate dei corvi. Una frotta quadrumane può in una notte scoperchiare una villa, togliendo, per gioco, tutte le tegole, passandole da mano a mano, andandole ad accumulare in fondo ad un sotterraneo o sulla sommità di un colle, a qualche chilometro di distanza; altre volte saccheggiano un giardino, lo spogliano di tutto: frutti acerbi, fiori, foglie, per solo malvagio istinto di distruzione. E sono le tiranne dei mercati, dove i fruttivendoli si rassegnano per esse ad una decima gravosa. Intorno alle grandi piramidi di banane, di manghi, di mangustani, di catie, s’aggirano le scimmie polverose, pronte ad allungare la mano, noncuranti della sferzata inflitta dal ragazzetto custode. A sera tutte le lunghe vie dei sobborghi hanno le grondaje ornate di code pendule; ma se passa un europeo, un’automobile, una cosa nuova qualunque, le code scompaiono, fanno luogo ad altrettanti musi protesi verso la via, con la bocca digrignante in uno spasimo di curiosità. È infinita la varietà di creature tollerate o protette o venerate in questo vivaio del Buon Dio. Sulle vetrate degli