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canto quinto 107

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     — Viva l’anima nostra — ognun dicea.
— Datemi ber, l’anima nostra viva. —
Sí mangiava e scuffiava e si bevea
con una divozion contemplativa.
Filinor dissoluto i cor leggea,
e s’adattava al caso ed istupiva;
ma gli occhi ha chini e sta si rattenuto,
che piú santo degli altri fu creduto.
32
     Baldovino era un fanciuUaccio rotto,
ma seguiva il costume di soppiatto,
che in casa a Gan bisognava esser dotto
e far le iniquitá chete per patto.
Poco mangiava a desco e stava chiotto,
e va sonniferando tratto tratto.
La notte tutta alle puttane er’ito,
tornato a giorno e poco avea dormito.
33
     Berta, che lo tenea per suo mignone
ed era tenerissima del putto:
— C’hai tu? — dicea — mi fai compassione:
oggi tu mi se’ tristo e spunto e brutto. —
Rispondea l’altro: — Ho un po’ d’indigestione;
stanotte io discorrei pel letto tutto,
smaniai, sudai; se feci un sonnellino,
sempre sognai col defunto Angelino.
34
     E’ mi parca vederlo ogni momento
che seco m’invitasse in paradiso.
— Taci lá, pazzerel; ch’è quel ch’io sento? —
diceva Berta e lo guardava fiso.
Gan soggiungea: — Quand’io sogno un uom spento,
segno è dal mio dover mi son diviso;
se De profundis non gli ho detti, ho il torto
quand’io mi lagno di sognare un morto.