Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/190

Da Wikisource.
180 la marfisa bizzarra

83
     Non si ricorda piú d’esser in chiesa,
né del predicador, né dell’udienza.
Si leva e corre con la faccia accesa,
come se lo cacciasse la scorrenza.
Dá d’urto negli astanti e fa contesa;
s’è scordato il «con grazia» e il «con licenza»:
fece rivolta come un Truffaldino,
arrabbiato, grassotto e piccolino.
84
     Esce dal tempio alfine, a casa è giunto,
e don Gualtier, suo mansionario, chiama.
— Prete — gli disse, — è questo il duro punto,
ch’abbandono Marfisa, che non m’ama.
Non m’ama, mi tradisce! Son consunto:
si freghi dietro il suo titól di dama.
Vestiti in lungo tosto, e m’ubbidisci:
questa scritta nuzial restituisci. —
85
     Poi della lettra e del guascon sfacciato
gli narra. Don Gualtier facea stupori:
poscia in veste talare s’è avviato
alla magion di Risa a far rumori;
e poiché il caso e il comando ha narrato
del padron suo, la scritta trasse fuori.
Sopra d’un tavolin la pose, e poi
volge le spalle e va pe’ fatti suoi.
86
     Bradamante è caduta in sfinimento;
don Guottibuossi corre per l’aceto;
Ruggero è saggio e prova un gran tormento:
volea gridar, voleva starsi cheto.
Marfisa seppe il fatto e, come il vento,
spedisce Ipalca al guascone in secreto
a dirgli che, se il mondo rovinasse,
ella gU vorria bene, e ch’ei l’amasse.