Pagina:Gozzi - Memorie Inutili, vol 1, 1910 - BEIC 1837632.djvu/144

Da Wikisource.

CAPITOLO XXI

Mia flemma smarrita. Vesuvi, insidie e guerre tragicomiche famigliari.

Risolvei di levar la fronte e di spiegarmi altamente, senza piú curare di comparir inquieto, sturbatore e petulante, determinandomi ad assumere de’ pesi che averei lasciati perpetuamente agli altri col solo fine di vedere la pace domestica.

Le estreme angustie alle quali i modi tenuti riducevano una numerosa fratellanza e una nuova discendenza di nipotismo, aprivano una voragine di dissensioni canine ed avevano cacciate lunge quella pace e quell’armonia ch’io bramava.

M’era fatto qualche buon amico anche in Venezia, che m’animava. M’eressi un galletto e dissi sonoramente che tutta la famiglia doveva ridursi alla villa in una necessaria economia per qualche tempo, e che averei fatto il possibile e pensato io a sostenerla, e che non voleva assolutamente né vendite né ipoteche di stabili e d’altri capitali.

Una sí fiera risoluzione, unita a quella d’intimare la villa, che fu ributtata come un’orrenda bestemmia, mi fece divenire un Nerone punibile, con tutta la mia innocenza.

Ho incominciato a incontrare de’ debiti, a privarmi del picciolo mio equipaggio, per sostenere il necessario bisogno alla famiglia. Vedeva che m’era impossibile il provvedere ad una famiglia in Venezia, composta di quindici persone tra padroni e servi, per un lungo tempo. Stimolava ogni giorno tutti alla partenza per la campagna, che mi si negava da tutte le femmine in alleanza, volgendomi le spalle senza rispondermi.

La mensa era un congresso di visi arcigni, di sguardi torvi e di parole pungenti. Faceva il sordo, il cieco, il Jobbe, fisso nelle mie massime.

Ciò che m’addolorava era il vedere imminente una divisione di fratelli e di patrimonio. Proccurava di tener lontana questa