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170 memorie inutili

nel teatro in Sant’Angelo di Venezia, preso a condurre dalla cognata piú che da mio fratello. La nostra gita era meno per divertirci che per sostenere al possibile un’impresa in cui vedevamo un fratello sacrificato. Non lasciavamo di pregare la dama Ghellini Balbi a venire con noi, ed ella condiscendeva e si affaticava ad applaudire in teatro alle rappresentazioni piú d’ogn’altro spettatore.

Si era rappresentata in quel teatro una traduzione dal francese della commedia intitolata Esopo alla corte, ed aveva avuta qualche fortuna e per la elegante traduzione di mio fratello e per il suo aspetto di novitá. Era sparsa la voce che si stava traducendo il seguito di quella commedia del medesimo autore francese, opera intitolata Esopo in cittá, e che presto sarebbe stata esposta. Noi eravamo desiderosi di vederla, di sostenerla, e d’un utile avvenimento.

Un onest’uomo, che predicava indistintamente nella famiglia del fratello Gasparo e nella nostra, mi prese un giorno e in gran secretezza e mezzo sbigottito mi disse: — Sappiate che nella commedia tradotta dal francese dell’Esopo in cittá, v’è una scena innestata e non tradotta, nella quale voi, i vostri fratelli Francesco ed Almorò e la dama Ghellini Balbi, siete esposti con de’ modi sanguinosamente satirici in un brutto aspetto agli occhi del pubblico. Non mi nominate, ma maneggiatevi sollecitamente per troncare il disordine, poiché tra cinque giorni la commedia si rappresenta.

Credei facilmente vera la relazione dell’amico, ma mi guardai bene dal dare il menomo segno che gli indicasse la mia credenza. Lo ringraziai dell’avviso zelante, sempre ridendo come di cosa non possibile, e le mie risa cadevano sulla di lui dabbenaggine e sulla sua credula immaginazione, riscaldata da un zelo male a proposito. Il pover’uomo sudava per persuadermi, ma non ebbe dal mio canto che risa, beffeggi e ironici ringraziamenti. Lo piantai lasciandolo collerico sul mio ridere.

Ho religiosamente costudita la mia lingua co’ miei stessi fratelli e colla dama, e mostrai anzi impazienza e desiderio di vedere in iscena la nuova commedia. Entrò finalmente in teatro,