Pagina:Gozzi - Memorie Inutili, vol 1, 1910 - BEIC 1837632.djvu/183

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CAPITOLO XXX

Causa passiva fastidiosa.

Sarei presuntuoso se pretendessi che i lettori di queste inette Memorie dovessero ricordarsi che nel capitolo ventesimo secondo dissi che, tra i molti assalti forensi che mi furono fatti per sconfiggermi, la moglie di mio fratello aveva data una dimanda in giudizio d’una buona somma di ducati, pretendendo un credito sulla sua amministrazione vivente mio padre, e che questa sua pretesa niente era stata considerata nelle convenzioni tra fratelli, madre e sorelle. Parecchi anni trascorsi, la buona armonia, che pareva incominciata tra le famiglie sulle mie fatiche a pro di tutti, m’avevano fatto dimenticare quella mostruosa pretesa come pretesa spirata.

Le conseguenze sul teatro diretto col semplice nome di mio fratello Gasparo, furono relative alle predizioni comuni. Una tale intrapresa fruttò al pover’uomo, in iscambio degli utili che gli erano stati pronosticati, di quelle vessazioni e di quelle aggressioni che per l’animo suo e per le sue doti non meritava, ma che sogliono essere parti naturali di tali intraprese.

Il puntiglio e la vendetta occulti, uniti al bisogno, bruttissima sfinge, per i debiti incontrati nel disordine di quel negozio poco favorito dal pubblico, fecero che la di lui moglie suscitasse di nuovo le di lei pretese a’ tribunali, dell’avanzo (diceva ella) di quanto aveva speso nelle sue antiche amministrazioni.

Gli assaliti in questa lite eravamo soltanto noi tre fratelli, Francesco, Carlo ed Almorò firmatori de’ caratteri magici e de’ pentacoli di negromanzia della cognata, a solo fine ch’ella non dovesse temere pretese da noi. Il fratello maggiore, che aveva firmato il primo per dar buon esempio a’ fratelli minori, non era chiamato in giudizio dalla moglie.