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208 memorie inutili


Giudicandomi per lo meno padrone de’ miei pensieri, un poetico mio libretto ch’io scrissi nel mio scrittoio per ricrearmi, ch’io non ebbi alcuna disposizione di pubblicare, e di cui parlerò piú sotto, mi pose per accidente in necessitá di difendere con delle lepidezze, deridendo que’ due scrittori, ciò ch’io considerava metodo vero e vera coltura di scrivere.

I soli amici miei sono certi ch’io non ebbi giammai né invidia né sentimento d’emulazione con que’ due laghi di volumi in ottavo.

Se tutti avessero la giustizia di considerare ch’io fui sempre un semplice dilettante scrittore di prose e di versi, che ho sempre donato e che dono quanto m’esce dalla penna, penserebbero tutti come gli amici miei e sarebbero certi, come quelli, che la sola lecita fantasia di divertir me e di ricreare gli spiriti affaticati sul lungo studio della veritá, della puritá e della semplicitá maestosa dello scrivere nel nostro idioma, m’abbia indotto a scherzare con qualche ampolla d’inchiostro sulla illegittima invasione degli accennati due innovatori e sopra alcun altro.

Il Cielo rimetta il peccato di temerario giudizio a que’ molti che m’hanno, per avventura, predicato indiscreto satirico e rintracciatore della mia propria fortuna sulla rovina altrui.

De’ comici e de’ librai potrebbero disingannarli, ma siccome non curo temerari falsi giudizi, cosí non cerco testimonianze in questo proposito alla mia generositá, che forse non sará da me nemmeno interamente lodata nel capitolo della pittura del mio carattere.

Fu dunque l’anno 1757 ch’io composi un libricciuolo poetico faceto, d’uno stile legatissimo a quello de’ nostri buoni maestri antichi toscani, intitolato: La Tartana degl’influssi per l’anno bisestile 1757.

Un’urbana allegra critica generale e morale sugli usi e sugli abusi d’allora, in buona parte fondata sopra alcuni versi dell’oscuro poeta fiorentino Burchiello, ch’io presi per testi profetici al mio lavoro, empieva le pagine di quel mio opuscolo da me scritto per passatempo e per esercizio di lingua, che piacque alla nostra assemblea letteraria, fedele uniforme di genio, e ch’io