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parte prima - capitolo xxxiv | 213 |
alla sprovveduta, che poi s’è indotto a odiare e a perseguitare da padre sconoscente e tiranno, non aveva fatto che porre in dialogo, con qualche maggior regolaritá e filatura, de’ soggetti scordati dell’arte comica all’improvviso e con quella grossolana dicitura che chi sa scrivere può rilevare; ma che vedendo egli illanguidire cotesto suo primo genere, ch’egli chiamava riforma, aveva assalito il pubblico colla novitá delle Pamele e d’altri romanzi; che al languire di questa novitá era uscito coll’altra novitá delle farse nazionali, ricopiando le Baruffe di Chioggia, de’ campielli, delle massaie, ed altre simili bassezze popolari, le quali assolutamente, nella loro trivialitá niente letteraria, erano state i suoi migliori guazzetti scenici, e d’una tempera d’avere vita piú lunga in sul teatro degli altri innesti suoi; che raffreddandosi anche quel genere per una certa somiglianza dell’una con l’altra di quelle rappresentazioni, essendo questo il destino delle fortune teatrali, per lo piú dipendenti in Italia da un orbo fanatismo, egli aveva cercata l’altra novitá di solleticare gli orecchi de’ spettatori co’ versi martelliani rimati e coll’opere scemitragiche piene d’assurdi, di improprietá, di mal esempio del costume orientale, delle Spose persiane, delle bestiali Ircane, de’ sozzi Eunuchi, delle Curcume nefande, e che questa novitá, quanto piú censurabile, condannabile e detestabile per lo specchio lascivo di bigamia e di lussuria, per la virtú e la innocenza calpestata dal vizio furente, per la impossibilitá degli avvenimenti e per cent’altre gemme consimili ch’ella contiene, tanto piú aveva stabilita la sua corona di lauro nell’orbo fanatismo e nella opinione d’un bulicame di sciocchi, i quali, appresi a memoria i sperticati infelici versi martelliani delle sue Persiane e delle sue Circasse, recitandoli per ogni chiassolino, innalzavano i suoi propositi al tempio della gloria avvelenando l’udito degli avvezzi all’ottimo e fomentando in lui il petulante commiserevole sentimento di vanitá.
Sostenni e provai ch’egli s’era prosuntuosamente arrischiato anche alla novitá del tragico sublime, ma che la fortuna, in un genere poco inteso dall’universale e da lui pecorinamente sostenuto, l’aveva fatto prudente in questo proposito, consigliandolo