Pagina:Gozzi - Memorie Inutili, vol 1, 1910 - BEIC 1837632.djvu/222

Da Wikisource.
216 memorie inutili

il servigio di trattenermi dal pubblicare i miei opuscoli. Giá si sapeva (aggiunse egli per parte del patrizio Widiman) che il Goldoni era uno scrittore materiale e grossolano, che non poteva competere meco sulla materia del colto scrivere, e che a lui pareva cosa contraria alla caritá lo screditarlo come cattivo scrittore sulla popolazione dalla quale scaturiva la sorgente della di lui prebenda.

Un tal uffizio mi sorprese uscito dalla voce d’un cavaliere, rigoroso protettore della coltura. Non potei però frenare le mie consuete risa, ben vedendo chi l’aveva proccurato e ben conoscendo l’arma sotterranea del meschino raggiro.

Risposi all’Eccellenza Sua ch’io credeva giustizia il correggere il Goldoni del suo insolentire contro di me, e ch’io credeva un dovere il tentare di guarire la gioventú dall’epidemia della goffa irregolaritá e della incoltura; che per altro io mi trovava spoglio affatto di desiderio di letterarie meschine vendette e d’ambizione, e che averei servito lui e il patrizio conte Widiman di seppellire i miei due libretti nel silenzio.

Aggiunsi però una mia predizione, cioè che, se il Goldoni, fingendo in secreto quella umiltá e quella afflizione che sogliono mostrare le astute femminette co’ mariti o con gli amanti per arrivare all’intento loro, aveva ottenuta la predetta sospensione e il far tacere me, averebbe poi egli certamente seguito a molestarmi sulla pubblica opinione per svelenarsi e per ostentare una vittoria letteraria co’ suoi affascinati idolatri.

Fui obbediente alla premura de’ due cavalieri e fui indovino nel mio pronostico.

Nelle raccolte di poesie che si fanno in Venezia per nozze, per monacazioni, per i solenni trionfi de’ gran signori, non meno che in qualche scena delle sue commedie, il Goldoni seguí sgraziatamente a porre in derisione lo scrivere colla toscana puritá litterale e con le grazie leggiadre, co’ veri colori, i veri termini e con la felice eleganza di quella. De’ personaggi affettatissimi e sgarbati toscani ch’egli innestava o nelle sue farse teatrali o ne’ suoi grossolani poemetti ch’egli intitolava Tavole rotonde o altro, erano le sue batterie.