Pagina:Gozzi - Memorie Inutili, vol 1, 1910 - BEIC 1837632.djvu/247

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memorie inutili 241


Se l’anno 1780, una violenza temuta in que’ giorni non avesse incatenati e tenuti inediti i miei due volumi, il Gratarol, vivente allora, avrebbe potuto ingegnarsi, a fronte delle mie Memorie, a sostenere quanto ha narrato e pubblicato di me, combattendo la storia mia; o si sarebbe ritrattato, se si trovasse convinto, come promette, da quell’uomo d’onore ch’io l’ho sempre voluto credere, nella pagina 52 della sua Narrazione stampata in Stockholm l’anno 1779, e come si legge nella pagina 131 del rinnovato mercimonio indiscreto de’ nostri librai fatto in questo anno 1797, e ch’io non voglio credere animato dalle vostre passioni.

Voi, amici di quel commiserabile rovinato dal proprio istinto, dalle proprie mal consigliate direzioni e da’ veri suoi oppressori nimici: voi che vi siete eretti commissari e tutori suoi colle vostre Memorie ultime, co’ vostri Supplementi, colle vostre esagerate prefazioni, assumerete per debito anche le sue veci.

La mia ferma proposizione è quella che, nelle veritá innegabili delle mie Memorie e nella stessa Narrazione apologetica del Gratarol, abbiate finalmente a rilevare e a persuadervi che nella commedia intitolata: Le droghe d’amore, non abbia io giammai avuta l’idea di porre il di lui carattere, e nemmeno per sogno la inonesta volontá di esporlo al martirio delle pubbliche risa sopra una scena per una leggerezza vendicativa di amorosa passione (fantasia proporzionata al suo cervello effemminato e sedotto); che abbiate a rilevare e a confessare che la sua puerile e frascheggiatrice credulitá, le sue mosse imprudenti abbiano armata la malignitá de’ suoi nimici e la sozza comica venalitá inurbanamente protetta contro lui; che abbiate a rilevare e a confessare che, colle sue mal consigliate cieche violenze e co’ suoi inconsiderati iracondi contrattempi, abbia egli accesi i tribunali d’allora a tener ferma la detta commedia nel teatro, e che ad onta de’ miei onorati e replicati tentativi per impedire un disordine da me abborrito e da lui cagionato, egli da se medesimo si sia ordita la sciagura di porsi e di perpetuarsi sopra una scena, facendo divenire la mia innocente commedia strumento d’una satira personale.