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270 memorie inutili

con qualche maraviglia, in una apparenza figliuola dell’ingegno forense avversario, divenuto piú debitore che creditore nelle giuste pretese che aveva proposte al tribunale.

Il brutto aspetto d’un tale apparecchio non mi spaventava, sapendo nel fondo del mio cuore ch’io aveva assolutamente ragione di chiedere. Incontrai con animo guerriero tutte le battaglie, e proccurai possibilmente di fugare la nebbia forense che offuscava le mie ragioni.

Risparmio al lettore il tedio di leggere il contestato e la sostanza di quelle molte cause.

Mio fratello Almorò, sempre d’ottimo cuore, corrispondeva al suo possibile, il qual possibile doveva necessariamente esser ristretto, alle smisurate spese ch’io doveva incontrare.

Mio fratello Francesco, sempre economo giudizioso, non voleva oltrepassare le lire cencinquanta all’anno della sua borsa durante quel litigio.

A mio fratello Gasparo era bastato il prestare il nome e l’assenso per proseguirlo. E perché alcuni cavalieri aderenti del signor marchese avversario gli chiedevano con viso serio: — Che diavolo di molestia portate al marchese Terzi? — egli rispondeva stringendosi nelle spalle: — Io non so nulla. Sono macchine di mio fratello Carlo, d’indole litigioso e che crede di avere delle ragioni.

Non ho mai creduto che un tale suo contegno fosse una politica per salvarsi da una sua temuta odiositá e per rovesciarla sugli omeri miei. Quelli che mi riferivano le sue risposte non ebbero da me che risa, conoscendo il carattere di mio fratello, il quale, per fuggire tutti i contrasti e per farsi amare da tutti, s’era contentato di sofferire infinite angustie nella sua famiglia.

Mi vedeva in esborso, nel giro di due anni di quel litigio, di diciassettemila lire. Scorgeva commessa ad un’orrida procella la mia sussistenza. Se non avessi avuto de’ cordiali amici (il principale de’ quali fu il nobile signor Innocenzo Massimo di cui ho parlato) che mi dessero animo e con la voce e con delle soccorrevoli graziose prestanze, e se non avessi avuto un animo