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276 memorie inutili

quelli e innestavano l’ira e il sospetto contro al Sacchi direttore. Gli persuadevano a non resistere sozi all’impresa, e li ridussero a voler essere stipendiati e ad odiarsi perfettamente.

L’umanitá in generale non vorrebbe sentire il peso di alcun debito, e nemmeno quello della gratitudine che niente costa. L’amor proprio le suggerisce alcune strane teologie, da far divenir credito ciò ch’è debito. È da assicurarsi che in questo proposito l’umanitá comica sia molto peggiore di tutti gli altri ceti dell’umanitá. Niente alterava il mio risibile sulle mie osservazioni riguardo a me e riguardo al bene lucroso e al risorgimento che aveva proccurato a una societá comica oppressa e desolata.

I piú vecchi e piú accorti comici di quella non lasciavano però di coltivarmi e di pregarmi de’ miei poetici soccorsi.

Senza mostrar di sapere le opinioni offensive a’ miei doni sparse per la loro repubblica, e che invero saper non doveva, e senza dinotare il menomo disgusto, credei di dover sospendere per alcun anno di dar loro de’ nuovi miei scenici capricci. Non ho migliori maniere di tentare la guarigione delle teste pregiudicate, indiscrete e sconoscenti. Mi scansai con de’ pretesti di occupazioni famigliari dal donar loro de’ novelli drammi.

Le genti avvezze a’ nuovi generi, nel primo anno cominciarono a mormorare della mancanza. Nel secondo cominciarono a gridare. Scemava il pubblico favore. Il teatro del Sacchi diveniva un diserto, e non mancava chi dalle logge diceva altamente delle ingiurie a’ comici. La deiezione cresceva di giorno in giorno. Allora fu che tutti gli attori proruppero in espressioni affettuose universali ed in vive preghiere verso di me.

Aveva avvezzato il pubblico a de’ generi nuovi in quella compagnia. Quella compagnia aveva sostenuto il mio letterario puntiglio. Parevami d’averle fatto piú un male che un bene ad assisterla per dieci anni, indi ad abbandonarla. Io non mi degno di considerare affronto ciò ch’esce da’ comici. Averei potuto