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326 memorie inutili


Conosco il vostro amor proprio e il vostro cervello. Voi mi farete nel vostro interno l’onore di credermi innamorato di voi e geloso del decrepito vostro amante con questo mio ragionamento. Guarite da questa muliebre stolidaggine. Vi amo, e sono soltanto geloso della vostra e della mia buona fama. Non sono vizioso né uno di quegli animali filosofi del secolo che dicono: — Si chiudano gli occhi e gli orecchi, si goda e si lasci godere.

È giusto però ch’io non m’erga legislatore, predicatore e pedante sulle vostre direzioni; ma è ben ingiusto che voi pretendiate che un amico e compare serva d’ombrello a’ vostri sozzi garbugli. Vi lascio nella intera libertá vostra di cui siete assoluta padrona.

A questo discorso, di ottimi sentimenti per una commedia ma troppo delicati per una comica, la Ricci guardando il terreno andava dicendo e replicando: — Non ho io fatta una bella cosa?

— Vi accorgerete quanto brutta ella sia stata — diss’io levandomi per partire.

— Signor compare — diss’ella trattenendomi con qualche lagrima, ch’io doveva credere piú di stizza che di pentimento, — le giuro ch’io non ho creduto di far nessun male. Getterei volontieri quel raso fuori dalla finestra. Maledetto questo mestiere teatrale! Abbiamo sempre d’intorno de’ diavoli che ci tormentano e ci tentano nella nostra debolezza. Quel vecchio m’ha sbalordita promettendomi argenterie, gioie, tavolette magnifiche, e m’ha alterato il cervello.

— Ebbene — diss’io, — non voglio essere d’ostacolo alle ricchezze che potete acquistare a costo della vostra infamia e de’ libelli che la accompagnano, ma non voglio servire io d’ombrello né essere amico domestico e compagno d’una femmina della vostra spezie.

— Sono prontissima alla restituzione del raso — soggiunse ella; — e poi si accerti che ho lasciato il Sacchi in dubbio di voler rilasciare tre zecchini il mese a pagamento. Quel vecchio insidiatore né ebbe né averá mai niente da me di ciò ch’egli