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82 memorie inutili

camicie, l’una con le maniche per le gambe, l’altra per le braccia, con un berrettone bianco in testa e una stanga nelle mani, e scorremmo la cittá com’ombre uscite dall’altro mondo, picchiando agli usci, svegliando chi dormiva con urli orribili, mettendo spavento nelle femmine e ne’ fanciulli. E perché usano in quella cittá di tenere la notte, per il gran bollore, aperte le stalle de’ cavalli per refrigerio di quelle bestie, sciogliemmo dalle cavezze piú di cinquanta cavalli, e crosciando colle nostre stanghe gli facemmo correre per tutta la cittá. Il romore era infernale. Le genti saltavano dai loro letti temendo forse una scorreria di turchi e gridavano dalle finestre: — Che diavolo è questo? Chi è lá? Chi va lá? — Gridavano a sordi. Seguivamo il nostro crosciare e il nostro correre. La mattina gli abitanti sbalorditi si narravano l’un l’altro il caso come un prodigio e avevano una briga a rinvenire i loro animali.

Il saper io suonare passabilmente un mio chitarrino, mi faceva persona necessaria a queste interminabili e correggibili impertinenze da gioventú scapestrata, che meritavano punizione, e che non intesi giammai come non arrivassero all’udito del provveditor generale, che sapeva punire acerbamente.

L’emulazione nel coraggio della nazione italiana e della nazione illirica, ch’hanno sempre un occulto amaretto di disapprovazione, cagiona spesso in que’ paesi de’ brutti cimenti. È una vergogna degl’italiani il porre a repentaglio il coraggio per sostenere delle insolenze contro l’urbanitá a lor senno, ed è cieca follia piú che coraggio il sostenerle, massime fuori dalla lor patria e nel mezzo ad una nazione risoluta e strambissima.

Dopo questa veritá da me conosciuta sin da quel tempo, discendo a farmi il biasimo piú che l’elogio, protestando che non si troverá nessuno che faccia testimonianza ch’io non sia stato una torre immobile e ch’io volgessi la fronte alle archibugiate minacciate ed imminenti nelle petulanze insoffribili sostenute co’ miei compagni.

Converrebbe chiedere ad un medico fisico bravo anotomico, piú che a me, la ragione della mia trepidezza costantemente risibile, nelle burrasche che passai sul mare, nelle infermitá che