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84 memorie inutili

che crollare il capo col viso arcigno e dire al Massimo che avrebbe potuto imparare a suo costo che gl’italiani si regolavano malissimo nel loro costume.

Non ci voleva altro che questa specie di sfida perché degl’italiani divenissero cavalieri erranti sostenitori del costume d’Italia in una cittá verso il Montenegro, dove s’ammazzano gli uomini per lieve motivo con quella indifferenza che s’ammazzano le quaglie ed i beccafichi.

Il signor Massimo si volse a me dicendo che, fatta la notte, doveva seguirlo col mio chitarrino, e la mia intrepida condiscendenza romanzesca rispose che l’avrei seguito assolutamente. Gli altri italiani ch’erano presenti, piú giudiziosi di noi, fecero i sordi.

V’era un giovine coadiutore nella secretarla generalizia, di nascita fiorentino, appellato Stefano Torri. Questi recitava nelle nostre commedie e nelle nostre tragedie le parti di femmina con molta abilitá, e aveva inoltre l’abilitá di cantare alcune ariette come un uscignuolo. Perché la nostra gita notturna avesse aspetto di serenata (cosa strana in que’ paesi), il Massimo invitò quel povero giovine a gorgheggiare, senza avvertirlo dell’avvenuto; ed egli, vago di far sentire la sua bella voce, e uomo di buone viscere, diede la sua parola.

Giunse la notte. Correva il settembre, la stagione era calda e risplendeva la luna. Si armammo del nostro brando, di due pistolette e si piantammo nella strada maggiore, ch’era lunga e diritta, sotto alle finestre della Dulcinea promessa sposa. il Torri spiccò le sue canzonette melodiose, ed io strimpellai e pizzicai il mio chitarrino accompagnando la sua musica per un’ora.

Fu improvvisamente aperta una finestra, con del furore, dell’albergo celebrato da’ nostri concenti, e vedemmo sbucare una grossa testa di faccia nerissima, la quale con una voce da «Caron dimonio dalla voce chioccia», suonò le seguenti parole mal pronunziate: — Che insolenzia!

Conoscemmo che quel gran teschio era sacro, e d’un monsignore canonico, zio della fanciulla. Ci voleva ben altro che una voce bovina canonica per sbigottirci.