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Il quale mondo è il migliore
che si potesse impastare,
E se talvolta non pare,
La colpa è del nostro umore.
Del nostro umore incostante,
Del nostro egoismo cupido,
Che pende un po’ nello stupido
E molto più nel furfante.
Ahi Dio, come sono belli
I mari, le selve, i monti,
L’albe, i meriggi, i tramonti,
Le ortiche, i fiori novelli!
E quelle care bestiole,
La cui maggiore faccenda
È di mangiarsi a vicenda
Sotto il grand’occhio del sole!
E l’uomo che, parli o taccia,
È un elettissimo vaso;
Ah, l’uomo con gli occhi, il naso
E la bocca nella faccia!
L’uomo, di così benigna,
Di così santa natura,
Che il diavolo n’ha paura,
E, quando può, se la svigna!