Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/21

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falso, i quali spero assai più agevolmente trarre dalla mia; e questi, quanto più avranno da leggere, più lor gioverà, e disporragli per lo studio e la dilettanza de’ classici. La quantità de’ buoni esempj quì citati preparerà loro l’orecchio a quella armonia, alla quale per non essere usi, o per conoscer solo la falsa, senza un tal preludio, lor parrebbe al primo di strumenti scordati. Io lo dico appunto perchè sono alcuni che a prima giunta si sbigottiscono, o fanno le meraviglie. E costoro pe’ quali io mi sono affaticato, non bisogna che lascino indietro pure un verso; se vorranno saltare quà e là, si smarriranno, non intenderanno; perchè di mano in mano ch'io procedo, definisco questo e quel termine grammaticale del quale io fo uso; non ricordandosi i quali, diventa oscuro quel che è chiarissimo. Ai dotti lo so anch'io parrà grave il dover leggere ciò che già sanno, per trovar quello che potrebbero forse non sapere; ma pure, se un Bartoli, un Perticari, e un Monti, hanno fatto errori nello scrivere, quando essi meco convengano che siano errori, potranno anch’eglino, leggendo queste carte, camminar più sicuri ove eran dubbii; se non, sia pur loro lecito quelli imitare.

Restami ora a dichiarare quali scrittori io mi prenderò per arbitri in una quistione di grammatica. Per esempio, nella classica traduzione di Salustio di Fra Bartolomeo da San Concordio, contemporaneo di Dante, io trovo il pronome cui usato per agente del verbo: Cui io sia tu ’l saprai da colui che io ti mando. Ora io dico, questo cui messo per agente in luogo di chi