Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/23

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guardo, secondo che la verità mi dettasse; ma non trovandosi approvato da alcuno dei Tre, allora affermo ch’egli è manifesto errore. E non è da credere ch’egli possa avvenire che un vocabolo grammaticale, qual è un pronome, non abbia ad occorrere, non una volta, ma molte nel caso della regola che si vuol determinare; se cui si potesse usare per agente, questo vocabolo è di sì frequente occorrenza, che non può dar campo a tale obbiezione. Dietro questo patto dirò dunque che anche nè non, nè niuno, immediato, che il medesimo da San Concordio di continuo adopera, sarebbe ora errore, perchè l’una delle due negazioni è affatto inutile, e all’orecchio noiosa; che lui per agente è cotale, sebben si usi dal Macchiavello; che gliene e gliele in luogo di glielo e gliela, non è cosa da imitarsi quantunque l’adoperi il Boccaccio, perchè questo forma una inutile confusione di termini, quando si può usar chiarezza e distinzione; che tutto per tutto che è oscurissimo, e non approvato dai Tre; e che avere da per avere a, nel senso di dovere, è errore, come proverò a suo luogo.

E poichè mi vien quì nominato Fra Bartolomeo da San Concordio, convien ch’io ammonisca i giovani studiosi della buona lingua che, tutto che ne’ trecentisti per la massima parte la lingua sia piena di semplicità e di bellezza, onde meritino uno studio profondo chi vuol ben scrivere, tuttavia la bellezza dello stile non consiste, nè manco cresce col dire saramento per giuramento; consigliamento, ingegnamento, piuvico, suto, aiutorio, retà, Viniziano, in luogo di consiglio, in-