Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/275

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a48 parte ud* azione della teente che movesse da questa cagionCf e Don uno stato di quella; e che s* ha a dire? Moke cose m’erm cadute’ in mente t i^ènute aila mente^ o occorse alla mènte, dare a voi una testimomanza della mia amicizia; o pure Molte cose io nCas>eà ruminaiò per la mente^ cercato cori la mente ^ o per in niente studiate^ dare a %H)i una testimonianza della mia amicizia^ O tu die sludiiy i^uzea ben’qui ToÉdiio dello Intel-* letto. Dicemmo a carte a4a che il terzo caso, e il più usato della preposiziohe /ler I è quando si mette daranti alla persona o alla cosa che è la cagione di quel che si- fa; ora, il cadere f il svenire, o l’occorrere^ alla mente, non sono atti spontanei che mossi possano èssere da cagione a farsi • Il desiderio di dare altrui testimonianza d* amicizia può ben far cadere^ venire^ occorrere^ alla mente, purchè si esprima la voce desiderio; ma uno da se non può operare queste cose; alle azioni espresse per cercare^ ruminare^ studiare^ si bene può T uomo comandare. Dalla natura dunque del verbo che precede dipende la preposizione; enei primo caso altra non vi cape che la qualificante; cioè che le cose cadute in mente erano tutte aggirantesi intorno all’oggetto di dare testimonianza* Ma, nel secondo, a cagione di que* tre participj che esprimono azione spontanea, Tidea è bene espressa con la preposizione /ler» Dove si può notare ancora che in quello i tre participi sono accompagnati col verbo essere, che dinota semplice stato della mente, e in questo