Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/323

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Dico che da principio immagino tal fosse il pensiero di chi creò questa espressione, non che ora ve l’intenda chiunque l’usi; ma egli giova il sottoporre i vocaboli a severa investigazione per ben comprenderli, e perchè non si abbandonino per ignoranza. Quante parole veggio essere state tolte o mutate al Decamerone per gli editori che non l’hanno intese, e quante aggiunte, che dall’Autore fur lasciate a sciente, per ellittico parlare! Mi consola però il sapere che il Biagioli lasciò in Parigi, se non ancor pubblicata, almeno pronta per la stampa, una sua edizione con dottissime postille; e se quella sarà pubblicata, come non dubito, quando che sia, si avrà il Decameron ridotto alla sua vera lezione; che è cosa importantissima per lo mantenimento della lingua. Io l’aiutai, fin da dodici anni fa, a preparare il testo con ben otto diverse edizioni delle più stimate, che la magnificentissima e liberalissima Biblioteca Reale ci prestava per ciò, e ci lasciava tenere in casa propria.

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I. E per terra e per mare, ad uomo ricco come tu sei, ci è pien di pericoli. B.2. Io mi sono rattemperata, nè ho voluto fare nè dire cosa alcuna. B. 3. L’acque parlan d’amore, e l’ora, (l’aura), e i rami, e gli augelletti, e i pesci, e i fiori, e l’erba. P. 4. Fior, frondi, erbe, ombre, antri, onde, aure soavi, valli chiuse, alti colli, e piagge apriche, sanno di che tempre... P.

Confesso che mi sento anch’io tirare talvolta da quella natural indolenza che è nell’uomo, a dire la tal parola sta quì per un certo qual vezzo, più tosto che cercare di penetrare la ragion delle cose; e già sopra il precedente ed ecco m’era quasi addormentato per non trovarci la soluzione,