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30 parte prima — cap. iv


La differenza di suono della z non impedisce la rima. P. es.:

M’andava io per l’aere amaro e sózzo
     Ascoltando il mio Duca che diceva
     Pur: guarda che da me tu non sia mózzo.

(Dante, Purg., xvi, 13).                              


§ 19. Il suono della z dura preceduta da consonante, come nelle voci cálza, márzo, pínzo, somiglia tanto al suono dell’s dura, che torna difficile, scrivendo, non iscambiare l’una coll’altra lettera. Nelle parole derivate dal latino la z italiana corrisponde per solito ad una t, e talvolta ad una c. Chi non sappia il latino, può ritenere per norma, che i nomi astratti in -ióne vogliono la s quando il participio passato del verbo da cui derivano, finisce in so; vogliono invece la z, quando esso participio è in to. Esempii: appréso, estéso; apprensióne, estensióneattènto, distínto; attenzióne, distinzióne.

Talvolta il d si cambia in z dolce. P. es. verdúra, verzúra; péndolo, pénzolo; frónda, fronzúto.


§ 20. j somiglia nella pronunzia ad una ,g fortemente attenuata. È sempre seguita da vocale, e, in mezzo di parola, preceduta pur da vocale. P. es. jèna, jònico; nòja, notájo. Seguita da i, diventa vocale, ed una delle i sparisce. Quindi il plurale di notájo e simili nomi, sì pronunzia come notái, quantunque, per chiarezza, si scriva notaj. Il plurale della voce ájo si scrive e si pronunzia áji, per non confonderlo con ái prep. artic., od áhi interiezione.

Alcuni scrivono j anche in mezzo a parola composta. P. es. con-jugazióne, ob-jètto, ab-jètto, inter-jezione.

In principio di parola j non di rado si vocalizza entrando a far dittongo colla vocale seguente. Così jéri