Pagina:Gramsci - Quaderni del carcere, Einaudi, II.djvu/118

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i93o-i932: (miscellanea) 793 denziose e in parte imbecilli. Ammessa la tesi dello Jannac- cone è da domandare: a che cosa è da attribuire l'eccesso di consumo? Si può provare che le masse lavoratrici abbiano aumentato il loro tenore di vita in tale proporzione da rappresentare un eccesso di consumo? Cioè il rapporto tra salari e profitti è diventato catastrofico per i profitti? Una statistica non potrebbe dimostrare questo neppure per TAme- rica. L'Arias «trascura» un elemento «storico» di qualche importanza: non è avvenuto che nella distribuzione del reddito nazionale attraverso specialmente il commercio e la borsa, si sia introdotta, nel dopoguerra [(o sia aumentata in confronto del periodo precedente)], una categoria di «pre- levatori» che non rappresenta nessuna funzione produttiva necessaria e indispensabile, mentre assorbe una quota di reddito imponente? Non si bada che il «salario» è sempre legato necessariamente a un lavoro (bisognerebbe distinguere però il salario o la mercede che assorbe la categoria di lavoratori addetti al servizio delle categorie sociali improduttive e assolutamente parassitane), (ci sono ( inoltre ) lavoratori infermi o disoccupati che vivono di pubblica carità o di sussidi) e il reddito assorbito dal salariato è identificabile quasi al centesimo. Mentre è difficile identificare il reddito assorbito dai non-salariati che non hanno una funzione necessaria e indispensabile nel commercio e neirindustria. Un rapporto tra operai «occupati» e il resto della popolazione darebbe l’immagine | del peso «parassitario» che grava sulla produzione. Disoccupazione di non-salariati: essi non sono passibili di statistica, perché «vivono» in qualche modo di mezzi propri, ecc. Nel dopoguerra la categoria degli improduttivi parassitari in senso assoluto e relativo è cresciuta enormemente ed è essa che divora il risparmio. Nei paesi europei essa è ancora superiore che in America, ecc. Le cause della crisi non sono quindi «morali» (godimenti, ecc.) né politiche, ma economico-sociali, cioè della stessa natura della crisi stessa: la società crea i suoi propri veleni, deve far vivere delle masse (non solo di salariati disoccupati) di popolazione che impediscono il risparmio e rompono cosi l'equilibrio dinamico.