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1140 QUADERNO 9 (xiv) centralismo burocratico spesso la situazione si è formata per deficienza d’iniziativa, cioè per la primitività polìtica, delle forze periferiche, anche quando esse sono omogenee con il gruppo territoriale egemone. Specialmente negli organismi territoriali [internazionali] il formarsi di tali situazioni è estremamente dannoso e pericoloso. Il centralismo democratico è una formula elastica, che si presta a molte «incarnazioni»; essa vive in quanto è interpretata continuamente e continuamente adattata alle necessità: essa consiste nella ricerca critica di ciò che è uguale nell’apparente disformità e distinto e opposto nell’apparente uniformità, e nell’organizzare e connettere strettamente ciò che è simile, ma in modo che tale organizzazione e connessione appaia una necessità pratica «induttiva», sperimentale, e non il risultato di un procedimento razionalistico, deduttivo, astrattistico, cioè appunto proprio di intellettuali «puri ». Questo lavorio continuo per sceverare l’elemento «internazionale» e «unitario» nella realtà nazionale e localistica è in realtà l’operazione politica concreta, l’attività sola produttiva di progresso storico. Essa richiede una | organica unità tra teoria e pratica, tra strati intellettuali e massa, tra governanti e governati. Le formule di unità e federazione perdono gran parte del loro significato da questo punto di vista: esse invece hanno il loro veleno nella concezione « burocratica », per la quale in realtà non esiste unità ma palude stagnante superficialmente calma e « muta », e non federazione ma sacco di patate, cioè giustapposizione meccanica di « unità » singole senza rapporto tra loro. 9 Cfr Quaderno 13 (xxx), pp. 24*25. S (69). Machiavelli. [(Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi)]. Uno dei luoghi comuni più banali che si vanno ripetendo contro il sistema elettivo di formazione degli organi statali è quello che il « numero sia in esso legge suprema » e che la « opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi) valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze» 1 ecc. (Le formulazioni sono molte, alcune anche più felici di questa riportata, che è di Mario da Silva, nella « Critica Fascista» del 15 agosto 1932, aia il contenuto è sempre uguale). Non è certo vero che il numero sia legge suprema, né che il peso dell’opinione di ogni elettore sia «esattamente» uguale. I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa poi si misura? Si misura proprio l’efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc., cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire anche che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia esattamente uguale. Le idee e le opinioni non « nascono » spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di irradiazione e di diffusione, un gruppo di uomini o anche un uomo