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QUADERNO 9 (xiv) § (110). Rodolfo Morandi, Storia della grande industria in Italia (ed. Laterza, Bari, 1931). Nella «Riforma Sociale» del maggio-giu- gno 1932 è pubblicata una severa recensione del lavoro del Morandi, recensione che contiene alcuni spunti metodici di un certo interesse (la recensione è anonima, ma autore potrebbe esserne il De Viti De Marco) *. Si obbietta prima di tutto al Morandi che egli non tiene conto di ciò che è costata l’industria italiana: «All’economista non basta che gli vengano mostrate fabbriche che danno lavoro a migliaia di operai, bonifiche che creano terre coltivabili, ed altri simili fatti di cui il pubblico generalmente si contenta nei suoi giudizi su un paese, su un’epoca. L’economista sa bene che lo stesso risultato può rappresentare un miglioramento o un peggioramento di una certa situazione economica a seconda che sia ottenuto con un complesso di sacrifici minori o maggiori ». (È giusto il criterio generale che occorre studiare quanto sia costata l’introduzione di una certa industria in un paese, chi ne abbia fatto le spese, chi ne abbia ricavato i vantaggi, e se i sacrifizi fatti non potevano essere fatti in altra direzione più utilmente, ma non è giusto sempre che l’introduzione dell’industria peggiori la situazione generale. D’altronde il solo criterio economico non è sufficiente per studiare il passaggio da una forma di Stato a un’altra; occorre tener cónto anche del criterio politico, in quanto obbiettivamente necessario e corrispondente a un interesse generale. Che l’unificazione della penisola dovesse costare sacrifizi a una parte della popolazione, per le necessità inderogabili di un grande Stato moderno, è da ammettere; ma bisogna vedere come tali sacrifizi furono distri- 84 bis buiti | e in che misura potevano essere risparmiati. Che l’introduzione del capitalismo in Italia non sia avvenuta da un punto di vista nazionale, ma da angusti punti di vista regionali e di ristretti gruppi e che abbia fallito ai suoi compiti, determinando un’emigrazione morbosa non mai riassorbita e rovinando economicamente intere regioni, è certissimo). Il Morandi non riesce a valutare il significato del protezionismo nello sviluppo della grande industria italiana. Cosi il Morandi rimprovera assurdamente alla borghesia « il proposito deliberato e funestissimo di non aver tentato Y avventura salutare del sud, (...) dove malamente la produzione agricola può ripagare i grandi sforzi che all’uomo richiede». Il Morandi non si domanda se la miseria del Sud non fosse determinata dalla legislazione protezionistica che ha consentito lo sviluppo industriale del Nord e come poteva esistere un mercato interno da sfruttare coi dazi e altri privilegi, se il sistema protettivo si fosse esteso a tutta la penisola, trasformando l’economia rurale del Sud in economia industriale. Si rimprovera al Morandi l’eccessiva severità con cui giudica e condanna uomini e cose del passato, poiché basta fare un confronto tra le condizioni prima e dopo l’indipendenza per vedere che qualcosa si è pur fatta. Pare dubbio che si possa fare una storia della grande industria