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750 QUADERNO 6 (vili) politica dall’etica. Non può esistere associazione permanente e con capacità di sviluppo che non sia sostenuta da determinati principii etici, che l’associazione stessa pone ai suoi singoli componenti in vista della compattezza interna e dell’omogeneità necessarie per raggiungere il fine. Non perciò questi principii sono sprovvisti di carattere universale. Cosi sarebbe se l’associazione avesse fine in se stessa, fosse cioè una setta o un’associazione a delinquere (in questo [solo] caso mi pare si possa dire che politica ed etica si confondono, appunto perché il «particulare» è elevato a «universale»). Ma un’associazione normale concepisce se stessa come aristocrazia, una élite, un’avanguardia, cioè concepisce se stessa come legata da milioni di fili a un dato raggruppamento sociale e per il suo tramite a tutta l’umanità. Pertanto questa associazione non si pone come un qualche cosa di definitivo e di irrigidito, ma come tendente ad allargarsi a tutto un raggruppamento sociale, che anch’esso è concepito come tendente a unificare tutta l’umanità. Tutti questi rapporti danno carattere [tendenzialmente] universale all’etica di gruppo che dev’essere concepita come capace di diventare norma di condotta di tutta l’umanità. La politica è concepita come un processo che sboccherà nella morale, cioè come tendente a sboccare in una forma di convivenza in cui politica e quindi morale saranno superate entrambe. (Da questo punto di vista stori|cistico può solo spiegarsi l’angoscia di molti sul contrasto tra morale privata e morale pubblica- politica: essa è un riflesso inconsapevole e sentimentalmente acritico delle contraddizioni della attuale società, cioè dell’assenza di uguaglianza dei soggetti morali). Ma non può parlarsi di élite-aristocrazia-avanguardia come di una collettività indistinta e caotica; in cui, per grazia di un misterioso spirito santo o di altra misteriosa e metafisica deità ignota, cali la grazia dell’intelligenza, della capacità, dell’educazione, della preparazione tecnica ecc.; eppure questo modo di concepire è comune. Si riflette in piccolo ciò che avveniva su scala nazionale, quando lo Stato era concepito come qualcosa di astratto dalla collettività dei cittadini, come un padre eterno che avrebbe pensato a tutto, provveduto a tutto ecc.; da ciò l’assenza di una democrazia