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SCENA SETTIMA

CORIDONE.

Son ben io stato infin a qui sospeso

nel prestar fede a quel che di Corisca
testé m’ha detto il Satiro, temendo
non sua favola fosse a danno mio
cosi da lui malignamente finta;
troppo dal ver parendomi lontano
che nel medesmo loco ov’ella meco
esser dovea (se non è falso quello
che da sua parte mi recò Lisetta),
si repentinamente oggi sia stata
con l’adultero còlta. Ma, nel vero,
mi par gran segno e mi perturba assai
la bocca di quest’ antro in quella guisa
ch’egli a punto m’ha detto e che si vede,
da si grave petron turata e chiusa.
O Corisca, Corisca! i’t’ho sentita
troppo bene a la mano, ch’incappando
tu cosi spesso, alfin ti conveniva
cader senza rilievo. Tanti inganni,
tante perfidie tue, tante menzogne
certo dovean di si mortai caduta
esser veri presagi a chi non fosse
stato privo di mente e d’amor cieco.
Buon per me, che tardai! Fu gran ventura
che’l padre mio mi trattenesse (sciocco!),
quel che mi parve un fiero intoppo allora;
ché, se veniva al tempo che prescritto
da Lisetta mi fu, certo poteva
qualche strano accidente oggi incontrarmi.
Ma che farò? debb’io, di sdegno armato,