Pagina:Guarini, Battista – Il Pastor fido e il Compendio della poesia tragicomica, 1914 – BEIC 1841856.djvu/232

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bene che repugni alla natura e all’arte poetica in generale che in una sola favola s’introducano persone grandi e non grandi. Qual tragedia fu mai, che non avesse molto piú servi e altre persone di questa fatta che personaggi di grande affare? Chi scioglie nell ’Edipo di Sofocle quel bellissimo nodo? né il re, né la reina, né Creonte, né Tiresia; ma duo servi, guardiani di armenti. Dunque non si disdice alla natura della scena l’accop- piare insieme persone grandie non grandi, non solo sotto ’1 nome d’un poema misto, coni’è la tragicommedia, ma della pura tragedia, e anche della commedia, se ad Aristofane s’addimanda, il quale vi mescolò uomini e dèi, cittadini e villani, e fin le bestie e le nuvole introdusse a parlare nelle sue favole. Quanto ai fatti grandi e non grandi, non so vedere per qual cagione si disconvenga che in una stessa favola, che non sia tutta tragica, star non possano, quand’eglino giudiziosamente vi sono inserti. Non può egli stare che tra negozi gravi intervengan casi pia- cevoli? e molte volte ancora sieno essi cagione di condurre a lieto fine i pericoli? Ma che? Stanno forse i prencipi sempre in maestá? non trattano essi mai di cose private? Per certo si: perché dunque non può rappresentarsi in favola scenica persona grande, che tratti cose non grandi? Ciò fece pure Euripide nel Ciclope , avendo egli, col pericolo grave della vita d’Ulisse, per- sona tragica, mescolata l’ebrezza del ciclope, eh’è fatto comico. E tra i latini Plauto fece il medesimo nell’ Anfitrione, accompa- gnando col riso e con le beffe di Mercurio le persone grandi, non solo d’Anfitrione, ma del re degli iddíi. Non è dunque fuor di ragione che in una favola scenica possano stare in- sieme persone grandi e fatti non grandi. Il medesimo potrei dire della commiserazione e del riso, qualitá l’una tragica e l’altra comica. E pure a me non paiono tanto opposite, che una medesima favola non le possa comprendere sotto diverse occasioni e persone. Chi è colui che, leggendo in Terenzio il caso di Menedemo, il quale volontariamente si macerava per la durezza da lui usata al figliuolo, non se ne muova a pietá, e con Cremete, che non ritenne le lagrime, non ne pianga? E pure nella medesima favola si ride delia beffa e dell’arte,