Pagina:Guarini, Battista – Il Pastor fido e il Compendio della poesia tragicomica, 1914 – BEIC 1841856.djvu/249

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rallegra e l’altro contrista, l’un rilascia e l’altro ristringe; moti dell’animo repugnanti, conciosiacosaché l’uno va dal centro alla circonferenza, l’altro cammina tutto all’opposito, e questi sono quei fini che nel drammatico si possono chiamare «con- tradditorii». Ma il fine strumentale può esser misto, percioc- ché molte parti ha la tragedia, che, rimosso il terribile, han virtú di produrre con l’altre parti comiche il diletto comico. Laonde, concedendo Aristotile il diletto nella tragedia, diletto con diletto agevolmente s’accorda. E quale è il diletto tragico? L’imitare azion grave di persona illustre con accidenti nuovi e non aspettati. Or bevisi il terrore e riducasi al pericolo solo, fin- gasi nuova favola e nuovi nomi, e tutto sia temperato col riso: resterá il diletto dell’imitazione, che sará tragico in potenza, ma non in atto, e rimarráne la scorza sola, ma non l’affetto, che è il terribile, per purgare; il quale non si può inducere se non con tutte le parti tragiche, altramente la storia sarebbe anch’ella tragedia. Ed è fra loro una gran differenza; perciocché quella con la sua semplice narrazione non vuol purgare, e questa, col suo grave, coll’apparato, coll’armonia, col numero, con la locuzione magnifica e sontuosa e con l’altre tragiche viste e cose, vuole indurre il terribile e ’l miserabile, per pur- garli. E però lá dove dice Aristotile che sommamente tragiche son le favole di fin mesto, ci volle aggiungere «quand’elle son ben condotte», volendo dire che tutte le rappresentazioni non producono effetto tragico, ma quelle sole che sono accompa- gnate da tutte l’altre parti che ci concorrono. Consiste dunque il diletto tragico nell’imitazione di fatti orribili e miserabili, la quale per se stessa, come dice Aristotile, è dilettevole. Ma non basta: bisogna che l’altre parti ancora sien tali, se si vuol bene conseguire il fin di purgare; altramente non si fará tragedia se non equivocamente, cioè fuori de’ termini della definizione datale dal filosofo. Chi dunque d’alcun soggetto servir si vuole per non purgare il terrore, il va temperando col riso e con le altre qualitá comiche, in modo che, quantunque di sua natura terribile e miserabile, non ha però forza di produr né terrore, né compassione, e molto men di purgarla, ma resta con la