Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore I.djvu/127

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capitolo iii. 105


di Omobono. Cotesto suo atto face l’effetto dell’acqua fredda rovesciata nella pentola quando spicca il bollore: costui dopo avere aspirato con compiacenza l’universale sbigottimento esclamò:

— Vi paio strano io? Ebbene, vi dirò cosa la quale, ne vado sicuro, me l’assentirà anco ’l signor Orazio; e tu, Marcello, da’ retta. Ci fu tempo addietro a Milano un certo Foscolo, che mise sulle scene una maniera di tragedia, dove non so quale regina dei Salamini (figaratevi che razza di regina avesse ad essere costei) tra le altre belle cose diceva: «Torni il sorriso al mio pallido volto: il ciel non ama i miseri.» Ora se il cielo ami i miseri, o no, ignoro; quest’altro io so di certo, che nè cielo, nè terra amano gli sventurati. Dunque, se tu sei savio, Marcello, nascondi la tua contentezza, come l’avaro il suo tesoro, per tema che i ladri non te la rubino. Tra noi a Milano si conserva una tradizione del nostro santo Ambrogio, il quale, secondochè si narra, essendosi fermato colla sua compagnia a certo albergo e vistolo oltre la usanza benissimo in assetto, interrogò l’oste come gli andassero i fatti suoi; a cui l’oste rispose: «Di bene in meglio; io case, io poderi, avventori a isonne, e tutti di quelli che vanno per la maggiore, baroni e mercanti grossi, che possono spendere; io bella moglie, in somma nulla mi manca e di molto mi avanza.» Il santo allora pensò che dove era tanta prosperità quivi non potesse tro-