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forca caudina del fato, e Bruto sputò la sua anima
in faccia alla Sventura esclamando: «Vergognati
della tua onnipotenza» E così Spartaco schiavo, e
Catilina patrizio: entrambi caduti supini sul campo
di battaglia, entrambi laceri di ferite nel petto, e
con gli occhi aperti, trucemente fissi nel cielo, e
co’ ferri stretti nel pugno sfidavano ad un punto e
maledivano i fati. La paura consacrò la fama di
costoro agli Dei infernali, e la esecrazione mantiene
sopra essi e la rinnova contro quelli che gli somigliano,
perchè dura la medesima paura. Furono
virtuosi? Io non lo so; so bene quest’altro, che chi
li spense sarebbe stato in ogni caso più malvagio
di loro.
Impertanto possono combattersi i fati; vincersi no. Taluna di quelle povere creature che si chiamano re ebbe la presunzione di farsi sudditi i fati, e Carlo di Angiò al primo urto di sventura superbamente vantava: «Buono studio vince rea fortuna.» Quando poi senti trafiggersi da strali più fitti, che non appaiono atomi dentro il raggio del sole, curvò la testa supplicando: «Sire Dio, fa che la mia caduta sia a piccoli passi!»
Concetto degno di re, non già di uomo, imperciocchè dimostri com’egli non intendesse perseverare nei supremi contrasti, bensì accomodarsi agli eventi a patto gli fornissero un nido dove riparare. Pure di non essere portato via, gli bastava durare